Crespo e Defensa y Justicia: che trionfo in Copa Sudamericana!

Finale senza storie tra Defensa e Lanus. I gialloverdi ottengono il primo titolo nella loro giovane storia. Non pervenuto il Lanus.

Quando l’albitro emette il fischio finale fa una favore a tutte e due le squadre. Per il Defensa, che finalmente può festeggiare il primo titolo; per il Lanus, che accorcia quella maledetta angoscia durata novantaquatto minuti. Il Defensa y Justicia da ieri entra negli almanacchi conquistando il primo trofeo della sua giovane storia, e lo fa alla grande vincendo nientemeno che il seconda copa più importante del Sudamerica: La Copa Sudamericana.

Nella finale argentina di Cordoba i coriandoli che volano a centrocampo sono gialloverdi, quelli granata sono stati riposti altrove, nel cassetto dei ricordi da dimenticare al più presto. La targa che viene fissata alla Copa recita ‘Defensa y Justicia, Argentina‘, segno tangibile che il sogno è diventato realtà. La cenerentola della Primera si prende la scena continentale e aggiunge la prima stella nello scudo del club. Meritatamente.

Braian Romero risulterà determinante come al solito, come pure Pizzini, Frias e tutti i suoi compagni. La vittoria è di squadra, sempre unita e determinata a conquistare l’ultimo tassello della sua grande cavalcata continentale. E il punto discriminante è propio questo: Il Defensa lotta per vincere, il Lanus no.

LANUS. Se la vigilia poteva far pensare ad una gara combattuta, equilibrata e magari cruenta, la realtà mostra l’esatto contrario. Il Lanus non entra mai in campo. Gli undici titolari che scendono in campo in realtà sono fantasmi, brutte copie, troppo brutti per essere veri. Manca totalmente il Granate e lo fa nella sua partita più importante. Dopo aver eliminato abbastanza nettamente avversaro ostici come San Paolo, Independiente e Velez, tra gli altri, sembrava normale amministrazione per i ragazzi di Zubeldia caricare il programma e pigiare il tasto ‘play’. Ma ieri, nel momento cruciale, il sistema è andato in corto circuito, bruciato, senza alcuna possibilità di ripristino.

Il Lanus scendeva in campo con la stessa convinzione di sempre, o almeno così si pensava. Possesso palla e riproposizioni veloci e soprattutto il saper sfruttare un’arma della squadra fin lì alleato di Zubeldia: i calci da fermo. Almeno questa era l’idea. Sand e Orsini lottavano nel deserto, De la Vega e Vera apparivano inconsistenti, come del resto tutta la squadra. La capitolazione arrivava nel secondo tempo, quando, nonostante la buona volontà, la manovra della squadra non riusciva a creare tre passaggi di fila. First reaction: Shock. La resa delle armi diventava purtroppo inevitabile.

DEFENSA Y JUSTICIA. Tutt’altra storia per il Defensa, sempre attento e costruttivo nella sua manovra intelligente. Non salgono tutti in avanti i giocatori come ‘cavallette’ come succedeva qualche anno fa. No, si nota una versione upgradata nel gioco Halcon. C’è una matutrità lampante che evidentemente è stata insegnata ed educata nei giovani giocatori, e non è neanche difficile capire da chi. Hernan Crespo ha il merito di ripartire dopo quel brutto 21 ottobre 2020. Quel giorno si materializzava l’eliminazione dalla Libertadores al 91° minuto per opera di quel Santos, ora finalista. El Valdanito riparte da lì, da quella depressione collettiva che aveva fatto sbandare l’equipo nelle partite successive. I ragazzi e il mister si siedono negli spogliatoi, si guardano negli occhi e si impegnano per un nuovo giuramento: giocare ogni partita in Sudamericana come se fosse una finale.

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Da lì, la squadra si ritrasforma, con la Copa Diego Maradona che diventa allenamento per puntare tutto sulla gloria più grande. Mentalità vincente anche quando subisce; un identità di gioco sempre presente; un attacco devastante grazie alle sovrapposizioni di elementi estranei al reparto offensivo; maturità nel leggere le varie situazioni di gioco fondamentale per l’interpretazione della partita. E si potrebbe andare avanti per ore nel cantar le lodi a questa squadra, forgiata a immagine del direttore d’orchestra.

Nella finale tutti gli ingranaggi del Defensa scattano alla perfezione, con una possesso palla che sfiora il 65%. Il Lanus non gioca, attende, cosa, poi non si saprà mai. Pizzini, Romero e Bou davanti fanno il panico quando giocano di prima. Nel secondo tempo arriva pure il regalo granate nel retropassaggio errato di Perez e allora il sogno inizia a diventare realtà. Se poi Delgado, il veterano, reduce della promozione del 2014, sigilla il 3-0 definitivo allora ci si può emozionare davvero.

Sarebbe però riduttivo dare tutti i meriti all’attuale Dt per l’ascesa di questa squadra. La corsa verso limiti inimmaginabili a Florecio Varela inizia qualche tempo prima quando nel 2014 arriva per la prima volta nel massimo campionato argentino. La programmazione e la lungimiranza del presidente Lemme fanno della squadra una vera e propria mina vagante nelle competizioni che partecipa, con giovani ragazzini semisconosciuti. Prima il prof Holan indica la strada da percorrere e poi l’avvento dell’ambizioso (e giovane) Beccacece fa decollare letteralmente il club verso traguardi insperati. Nel 2017 ecco la prima partecipazione alla Copa Sudamericana, come pure per i successivi due anni. La lotta per il titolo de Primera contro il Racing è quello step che da consapevolezza all’ambiente interno, corroborato da una programmazione seria e da un progetto tecnico adeguato. Mariano Soso dirige la squadra alla prima partecipazione alla Libertadores 2020 ma è grazie a Hernan Crespo che il sogno si avvera. E’ il Valdanito che compie il miracolo grazie alla sua caparbietà e contagioso carisma nel suo primo trionfo da allenatore.

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Sono più i meriti del Defensa o i demeriti del Lanus? Tutte e due le cose. L’Halcon vince meritatamente (e senza bisogno del Var) una prova di forza talmente devastante che viene ammessa anche dagli stessi avversari. Nei pressi del Tito Tomaghello piangono di gioia, sconvolti, esterefatti che la loro piccola squadra sia diventata Campeon de la Copa Sudamericana. Merito di Crespo, merito dei giocatori, merito della magia di un sogno chiamato futbol. A Florencio Varela. Dove tutto è possibile, dove anche le utopie diventano realtà.


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Il Cuore dei vinti

I vincitori vincono tutti allo stesso modo, ogni sconfitto invece ha il suo modo di sentire il dolore. Gli aneddoti dei vincitori finiscono sempre per diventare equivalenti: tutti dimenticano ciò che c’era prima, e raggiungono il medesimo picco di felicità. All’unisono.

Gli sconfitti, invece, hanno una storia diversa: ognuno stava facendo qualcosa prima di perdere e, potendo, tornerebbe indietro per rendersi conto che si stava meglio o che cambiando un solo fattore, anche il risultato sarebbe stato diverso.

“Il Colón non mi dà da mangiare, però può arrivare a darmi l’allegria più grande della mia vita”. L’ha pensato, per esempio, uno dei vinti prima che la finale di Copa Sudamericana si disputasse sabato pomeriggio in Paraguay, nel Barrio Obrero di Asunción all’Estadio General Pablo Rojas.

In 114 anni di storia mai il Colón ha giocato e vinto una finale continentale, stessa bacheca vuota anche per gli ecuadoriani dell’Independiente del Valle. Il ballo delle debuttanti, ma solo una indossò alla fine la corona. C’è modo e modo di arrivare a giocarsi una finale, ma c’è solo una strategia per vincerla: essere i migliori.

Così mentre El Negriazul ha impiegato dieci anni per arrivarci, assoldando un tecnico spagnolo che non è mai stato calciatore, Miguel Ángel Ramírez Medina, e adottando la linea verde basata sul forma-vendi-compra giovani promettenti, il Colón ci è arrivato di scommessa. Ha trascurato il campionato, dedicandosi anima e corpo all’impresa che avrebbe finalmente visto inciso il proprio nome sulla Coppa dei grandi. La ilusión non è stata abbastanza né è bastato spendere i risparmi di una vita per un posto a sedere nella Nueva Olla o piuttosto pedalare da un paese all’altro sognando la prima stella sullo scudo rojo y negro.

Troppo piccoli i ragazzi di Santa Fe o troppo grandi quelli dell’Independiente. I rivali si sono imposti con un 3-1 sentenzioso, grazie alle reti di León, Enríquez e Dajomé. Oliver ha cercato di tenere accesa la luce della speranza con il gol della bandiera al minuto 89, ma a niente è servito.
Fiumi di lacrime hanno accompagnato il temporale, che aveva già in precedenza obbligato a interrompere la finale, conclusasi all’intervallo per il Colón.

La squadra di Pablo Lavallén non ha mai dimostrato nei due tempi di gioco di poterla vincere. Quando al 55′ la Pulga Rodríguez poi sbaglia dal dischetto, ti rendi conto che il cuore non vince sul calcio. Il capitano, che in campo era sceso anche a pochi giorni di distanza dalla morte del padre segnando e convincendo, è stato il primo a mancare. Non il temperamento dei giorni migliori, quasi come l’importanza dell’evento avesse suscitato l’incredibile paura di essere protagonisti e vincere. Una corsa al titolo non misurata né organizzata, ma vissuta con la sola spinta del tifo non basta.

L’Independiente dallo stile europeo l’ha dimostrato. E adesso al Colón tocca pagare anche il conto del promedio, in una stagione di calcio nazionale che già sta girando pagina verso la prossima. La finale unica non ti dà rivincita: se sbagli, non c’è una seconda possibilità. Il Colón si è lasciato dominare, cercando di mantenere la linea difensiva alta, tuttavia sulle fasce laterali Ortiz e Olivera sono stati spogliati di ogni autorità. El Sabalero raramente si è visto dalle parti di Pinos, che avrebbe potuto serenamente sorseggiare un mate offerto dagli spalti. Dopo un’ora di gioco e l’interruzione a causa della pioggia, quasi è parsa un’altra partita, con gli argentini che offensivamente si sono proposti con più coraggio.

Tuttavia, Estigarribia e Zuqui, ad esempio non si sono visti dalle parti di Asunción, e l’altura ha poi favorito chi vi è più abituato. Oltre 30.000 persone per un sogno sfumato.
Ci sono tanti modi di perdere, l’abbiamo detto. Il peggiore è farlo consapevole che la sola foga agonistica non basti, eppure non facendo nulla per cambiare la situazione.

L’Independiente ha vinto offrendo al Colón una lezione di calcio, ed esponendogli le motivazioni della sua supremazia a ogni tocco palla.
Inconsolabili hanno lasciato il campo i calciatori della Raza, giurando che il dolore più grande è la consapevolezza che qualcuno abbia venduto tutto per una gioia che non è mai arrivata.
Arriverà, prima o poi, ma non sarà lo stesso.

Perché la prima volta non si scorda mai. Chau, Cristóbal y disculpanos.

di Sabrina Uccello


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Vamos Sabalero!

Sabato sera andrà in scena ad Asunción la finale della Copa Sudamericana tra Colón (Argentina) e Independiente del Valle (Ecuador).

Sarà il gran ballo delle debuttanti per le due finaliste: Mai nella loro storia Colón e Independiente hanno vinto una competizione continentale. Per il Colon addirittura mai è stata finale.

Sin parabla

La stagione dei Sabalero è stata caratterizzata essenzialmente dalla partecipazione in Copa. L’obiettivo dall’anno scorso, migliorarsi e andare oltre gli ottavi di finale è stato raggiunto e superato. Manca un ultimo tassello per un sogno mai stato così vicino. Sarebbe il nuovo trionfo in Copa Sudamericana di una squadra argentina dopo la vittoria dell’Independiente di Holan nel 2017 e, naturalmente, la consacrazione del Colon in Sudamerica.

Gli sforzi stagionali dei Sabalero quest’anno sono stati mirati per la Sudamericana. La stagione infatti ha visto il Colón irresistibile nel Continente a discapito del campionato, dove la squadra appare un pò attardata. L’approdo in finale quindi può essere considerato una conquista; è il punto più alto in 114 anni di storia, e ora il club di Santa Fe vuole andare fino in fondo.

Questo il Palmares fino ad ora:

  • Primera B Nacional: 1965
  • 3° in Primera: Clausura 1997, Clausura 2000, Apertura 2009.
  • Semifinalista in Copa Argentina: 1969
  • Semifinalista Copa Conmebol: 1997

Flash-back. Per riuscire a capire meglio il presente è bene tornare indietro nel tempo, alle origini.

Siamo nel 1905 e gli inglesi presenti in città a Santa Fe, per ragioni commerciali, iniziano a ‘contaminare’ la popolazione locale con un nuova pratica sportiva: il Football. Un gruppo di ragazzi decide così di organizzarsi e formare una squadra di calcio. Il nome lo prendendo da Cristoforo Colombo, qui Cristóbal Colón ovvero l’argomento di storia che i ragazzi stavano studiando in quel periodo. Nacque così il 5 maggio 1905 il Colón foot-ball club con le prime amichevoli tra amici. Il ‘campo da calcio’ era il ‘Campito’ o ‘canchita’, un terreno spesso allagato dal vicino fiume Rio de Paraná dove i ragazzi erano soliti giocare. Palla fatta di stracci, pali di lattine e tanta passione. È nato così il Club Atlético Colón.

Man mano che passa il tempo bisogna prendere decisioni importanti: Quale sarebbe stato il colore della maglia?

La storia qui somiglia a quella del Boca: C’è un porto, c’è una nave, ci sono due colori: Il rojo y el negro furono scelti dai giovani per la presenza di una chiatta nel porto dal colore rosso e nero. Tutti d’accordo. Quella scelta 114 anni fa, determinò per sempre l’identità sabalera.

Avendo chiari i colori, per la realizzazione della camiseta si decide di andare nella più sviluppata Rosario, a 170 km a sud di Santa Fe. Qui come nelle belle storie c’è il colpo di scena.

Dal sito istituzionale del club: ‘Le indicazioni per la maglia erano precise: metà del lato destro Nero e metà del sinistro Rosso, ma con grande sorpresa di tutti, quando i ragazzi andarono a ritirarle, notarono un errore nella loro preparazione. I colori erano invertiti. Il lato destro Rosso e il lato sinistro Nero‘. In fondo, non cambiava tanto e quei colori decisero di non cambiarli fino ai giorni nostri ‘poiché tutti i membri accettarono di mantenerli’.

Risolto il problema maglia, arriva la prima e grande sfida dei giovani ragazzi del Colon. Si seppe che nel sud della città c’era un’altra squadra con gli stessi colori. Come a singolar tenzone si decide di sfidare quella squadra: chi avrebbe vinto poteva mantenere il rosso e il nero. Sempre del sito istituzionale:

E’ stata forse uno delle partite più importanti che il Colon giocò nella sua storia, dal momento che si può letteralmente dire che fu una partita per la maglia, senza soldi, contratti o bonus. Solo per il rosso e nero dell’amato club. È difficile immaginare la pressione, l’entusiasmo, la passione con cui quella partita venne giocata. Si potrà dire che fosse destino o no, quello che sappiamo con certezza è che il Colon vinse e con la vittoria conquistò il tesoro più intimo del suo cuore: il rosso e nero. La prima vittoria del Colon, il primo trofeo, il primo titulo: “la camiseta”.

Da lì club crebbe talmente che dovette trasferirsi per giocare in un luogo più accogliente e sicuro, con delle tribune dove la gente locale iniziava piano piano ad assistere alle prime sfide.


Nacque così la passione a Santa Fe per il Colon e con essa iniziò a nascere il tifo sabalero.

L’origine della parola Sabalero deriva dalla pesca abbondante di un pesce chiamato ‘Sabalo’, pescato in abbondanza nel vicino Rio Paranà. Da qui Sabalero. I pescatori del porto di Santa Fe furono quindi i primi hinchas del Colon.

Lo Stadio. Dopo il primordiale ‘Campito’, si giocò in un altro terreno: L ‘Avenida Córdoba (Freyre) – Moreno y San Juan’ chiamato così per le strade che costeggiavano il campo. Poi fu la volta di quello definitivo. Inaugurato il 1946 e chiamato Eva Peron fu poi ribatezzato in Brigadier Estanislao López, nome ancor oggi in uso.

L’apodo ‘El Cementerio de los Elefantes’ allo stadio, merita approfondimento a parte.

Quel soprannome nacque il 10 maggio 1964 quando el fabuloso Santos di Pelè, nel momento più elevato del giocatore e del club brasiliano, ‘bicampeón del universo’ venne sconfitto 2-1 in una tournée in Argentina dall’umile squadra santafesina del Colon, allora in seconda divisione.

Fu un successo clamoroso, da prima pagina. Il mito del grande Santos di Pelè sconfitto da una squadra di pescatori, fu davvero inaudito, mai sentito prima. Da qui nacque il mito del “Cimitero degli Elefanti”, con le agenzie di stampa internazionali che a fine partita già divulgavano ai cinque continenti questo clamoroso risultato, e la nascita appunto, del “Cementerio de los Elefantes” come luogo dell’avvenimento.

Il Mito del Cementerio de los Elefantes naque da questa partita.

Il presente del Colon si identifica soprattutto con la Copa Sudamericana. Negli ultimi due anni infatti i sabalero hanno ben figurato in Copa, togliendosi anche qualche soddisfazione. Nel 2018 nei sedicesimi il Colón vinse in trasferta in Brasile (Morumbi), contro il più quotato San Paolo e infliggendogli il colpo di grazia a Santa Fe, eliminandolo. (e continuando la tradizione Cementerio Elefantes).

Arriverà al turno successivo l’inaspettata l’eliminazione agli ottavi contro il Junior de Baranquilla, poi finalista.

Quest’anno, qualificato ancora alla Sudamericana 2019 grazie alla posizione in Primera, dopo il girone eliminava in successione:

  • Ai 16′ Il River Plate (Uru)
  • agli 8’ l’Argentinos Jrs (Arg) ai rigori
  • ai 4’ Zulia fc (Ven)
  • alle semifinali Atletico Mineiro (Bra) ai rigori.
Il Colon elimina l’Atletico Mineiro ai rigori a Belo Horizonte e va in finale.
Burian, il portiere, sarà uno degli eroi di quell’impresa.

La stella. La squadra si identifica con il suo capitano, el pulga Rodriguez, arrivato dall’Atletico Tucuman nel gennaio di quest’anno, è il vero condottiero della squadra. Con 34 primavere sulle spalle rimane il giocatore più dotato tecnicamente dell’equipo e dal grande carisma. Nella semifinale di andata, partita fondamentale contro il Mineiro, el pulga giocò ugualmente la partita nonostante il padre fosse mancato qualche giorno prima. Dirà poi: “Non potevo mancare in questa partita storica, era troppo importante per il club”. Rodríguez in quella partita segnerà il gol che permetterà alla squadra di approdare in finale.


Sono in definitiva due i moduli (con qualche variante) che usa solitamente il tecnico Lavallen per il suo Colon: il 4-4-1-1 in trasferta e il 4-3-3 spesso utilizzato in casa. Il portiere Burian è una certezza ed è un pararigori; in difesa Acevedo in coppia con Ortiz hanno guidato la spedizione in coppa, nel mezzo c’è l’esperienza di Aliendro e Lertora. Fritzler e Bernardi ottimi sostituti in panchina ad entrare. Estigarribia e Zuqui nelle fascie, e davanti el Pulga che da solo fa la differenza. Sarà balottaggio Morelo/Chancalay come punta centrale.

La Locura dei tifosi nel compleanno del Colon: 60.000 persone in strada..

La conquista della Copa Sudamericana sarebbe la ciliegina sulla torta per i tifosi, sempre passionali nei confronti del club. Un tifoso intervistato a Asunción ha detto: “È già un sogno stare qui, ma se dovessimo vincerla potrei morire tranquillo anche domani.”

I cori di festa dopo Dep.Municipal-Colon 0-3 (Perù) sono talmente potenti che in conferenza stampa accade questo..

Sarà una serata da non perdere. Non bisognerà sottovalutare l’Indipendiente del Valle. Un’avversario molto difficile da affrontare. Nel suo percorso ha eliminato:

  • Ai 32′ Union Santa fe (!) (Arg) ai rigori
  • ai 16′ Università catolica (Cile)
  • agli 8′ Caracas (Ven)
  • ai 4′ Independiente Avellaneda (Arg)
  • alle semifinali Corinthians (Bra) ai rigori

Appuntamento dunque sabato 9 novembre alle 21:30 su DAZN per la diretta tv. Commento di Alberto Santi.

'Vamo' sabalero,
corra ponga huevo
que donde jugues, te seguiremos!
Aca esta tu hichada,
re descontrolada
solo te pide que al frente vayas.'

A cura di calcioargentino.it